Qualcosa di nuovo, per favore…

Attorno agli anni ’80 e ’90 l’Europa illuminata e progressista era ricca di analisi critiche sul ruolo del Fondo Monetario Internazionale e del suo influsso perverso sui pretesi risanamenti delle emergeni nazioni africane o le traballanti economie centro- e sud-americane. Anche tra noi vi erano, ed a ragione, molti che ritenevano le indicazioni di “cura” fornite dal FMI, e dalle oggi ben più note banche d’affari ed agenzie di rating, tutto il contrario di quello che serviva a quelle nazioni (ricordate la sciagurata raccomandazione per l’Argentina di legare il peso al dollaro?) per sanarsi in modo strutturale. Chiare analisi avevano documentato che il FMI lavorava per favorire e consolidare il benessere di poche ricche nazioni anziché aiutare le più povere a trovare la loro via.

Ora lo scenario è cambiato non di molto, con l’FMI apparentemente un pò in secondo piano e BCE ed agenzie di rating sulla bocca di tutti. Ciò che è cambiato è che il malato che questi soloni dei soldi altrui devono curare non è né il SudAmerica né l’Africa sub sahariana.  Il malato è l’Europa, e su tutti un pugno di nazioni, tra cui noi, l’Italia. E gli italiani, quegli stessi italiani che 40 anni fa manifestavano contro le politiche “imperialiste” di cui anche il FMI era veicolatore. Ma oggi tutto a un tratto sembra che più nessuno abbia gli strumenti concettuali per criticare quanto questi soggetti vanno indicando come ovvio e da farsi assolutamente. Intendiamoci, non vogliamo dire che quanto affermano sia errato. Vogliamo solo segnalare che quell’humus culturale che aveva impedito 40 anni fa circa all’approccio del FMI e dei suoi amici di diventare una verità scontata, oggi pare scomparso e pare dominare il pensiero unico del “ridurre la spesa pubblica, riformare il welfare, ripensare le pensioni etc…” . E ciò è ahimè vero anche a sinistra. Non c’è in circolazione, qui da noi, nessun modello di lettura alternativa della crisi strutturale in cui ci troviamo (le persone serie sanno che Berlusconi è il paradigma della politica che non ha fatto nulla per opporvisi, non la causa ultima di questa crisi) e tantomeno una visione globale e fondata per uscirne come Europa, prima che come Italia. Non abbiamo ricette ma vorremmo che qualcuno cominciasse a dire che “il Re è nudo” e che, ad esempio, la spesa pubblica non è un falò dove qualche stregone brucia tonnellate di banconote  ma è anche l’insieme di quei servizi ai più bisognosi che i Comuni non riescono più a erogare, sono anche gli infermieri nei reparti che vanno in pensione e non vengono sostituiti, è anche la benzina che manca per le auto della Polizia. E allo stesso modo, l’allungamento dell’età pensionabile è una bella idea contabile se non fosse che non c’è azienda oggi in Italia che non butterebbe a bagno tutti gli ultra-cinquantenni (esclusi i super pagati top manager, of course) per sostituirli con CoCoCo a prezzi da fame. Che ogni posto occupato da un sessantenne magari ormai nonno perché gli hanno ritardato l’andata in pensione, è un posto non occupato da un giovane che la famiglia ancora se la deve formare.

Lasciamo stare la destra che su questi temi riesce solo a ricopiare i modelli più disastrosi e ormai talmente sbugiardati che paiono non aver padri. Lasciamo stare il centro che è qui ancora con ricette che paiono arrivate pari pari dal boom degli anni ’50. A noi preoccupa la fiera dell’ovvio che si vede nell’area riformista di sinistra. Economisti “d’area” che restano sempre e comunque nei binari e negli schemi concettuali altrui e con le solite parole d’ordine quali “flessibilità”,”riforme strutturali”,”riforma delle pensioni”,”riduzione della spesa pubblica” etc… etc… Esattamente quei binari e quegli schemi che giustificano le prese di posizione dalla BCE, il modus operandi delle agenzie di rating etc…  Non che non si debbano considerare anche quelli, ma possibile non ci sia dell’altro? Anni fa era diventata di moda la famosa battuta “D’Alema, dì una cosa di sinistra”. Oggi agli studiosi, economisti di sinistra vorremmo dire “Dite una cosa vostra!”.

Quello che preoccupa e dispiace e’ vedere che il pensiero riformista e progressista -ma anche queste sono ahimè categorie logore- dei ricchi paesi occidentali non stia producendo una visione dell’economia che sia altro rispetto alla visione oggi di moda. Certo, e qui penso all’Italia, sarebbe il caso che “a sinistra” ci fossero pensatori di economia che vengono dal reale mondo del lavoro e non solo personaggi cresciuti sui libri o diventati grandi a furia di cariche di partito o tra un CDA e l’altro del sottobosco delle aziende pubbliche piccole o grandi. Serve qualcuno che riesca a consolidare in una visione sistemica alcune piccole e grandi intuizioni come le ricadute economiche della “green economy” (produzione di infrastrutture per le rinnovabili, nuovi paradigmi costruttivi etc…), l’idea che sostiene il micro-credito, la sostenibilità su larga scala del mercato equo-solidale etc…”E’ sbagliata? Pazienza. E’ geniale? Meglio!

Sarò banale, ma io non conosco nessuno che a partire da schemi economici inesistenti quando non disastrosi e ormai passati è riuscito poi a disegnare una nuova idea dell’economia con qualche ragionamento in più e qualche parola d’ordine in meno.

Paolo Pirola

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