Come non risanare l’Italia della pioggia e delle lacrime

Più di qualsiasi commento di economista o di politico d’opposizione, ciò che ha mostrato l’inutilità del contenuto della lettera d’intenti prodotta dal nostro moribondo Governo è stata la pioggia. La pioggia che cadeva sulla riviera di Levante mentre a Roma trasformavano in lettera ufficiale un elenco di piccole stupidate di economia incartate non in un piano organico, ma in una serie di promesse sul “domani faremo”.

Cerchiamo di spiegarci meglio: a leggere quel che si conosce, la lettera che anticipa il Decreto non parla di “sviluppo”, ovvero di come uscire dalla crisi, ma di “sopravvivenza”, ovvero di come gestire lo stato di crisi. Avete presente la norma che dovrebbe rendere più facili i licenziamenti o quella della mobilità coatta nel pubblico impiego: sono norme che servono a chi è in crisi e deve ridurre i danni. Ma l’obiettivo di un piano per lo sviluppo non deve essere quello di aiutare le aziende a pagare meno la crisi. Deve essere quello di far crescere le aziende, farle sviluppare e metterle nelle condizioni di essere competitive e produrre prodotti dotati di appeal sul mercato internazionale. Quanto partorito dal Governo Berlusconi è un piano per la dolce morte, non una cura per guarire il malato. È un piano per rendere tiepida la crisi, non per ripartire. È una terapia del dolore, non la prevenzione contro i tumori.

Vabbé, e la pioggia e i disastri sul Levante cosa c’entrano? Fatevi la domanda: quanti soldi di mancato turismo costerà mezza giornata di pioggia? Quanti turisti stranieri gireranno al largo dopo aver visto sulle televisioni di mezza Europa cosa può combinare un intenso temporale (perché di quello si è trattato, mica di un uragano o tifone…)? Allora forse dice più il disastro ligure su dove bisognerebbe agire per rilanciare l’economia italiana che non il parto malato della premiata ditta BB (Berlusconi–Bossi). I

ntendiamoci: non ci stiamo stracciando le vesti per il disastro ambientale come “ecologisti”. Stiamo parlando semplicemente di affari, di soldi. Di quanti soldi, posti di lavoro e risorse, potrebbe generare un’Italia anche solo dignitosamente conservata. Di quanti soldi perdiamo ogni anno per avere, decennio dopo decennio, sperperato un patrimonio di bellezze, naturali e culturali, che non ha pari al mondo. Quanti posti di lavoro si creeranno con la mobilità forzata nel pubblico impiego? E invece quanta ricchezza e risorse, che invece sono dirottate ormai permanentemente altrove, potrebbe importare il nostro Paese evitando gli scempi delle coste o la distruzione dei parchi nazionali? Quale crescita delle esportazioni verrà alle aziende in crisi consentendo loro più facili licenziamenti? E invece quanti posti di lavoro potrebbero generarsi con i musei a cielo aperto di cui siamo dotati (inutile qui ricordare Pompei, la Valle dei templi, etc…) gestiti per far soldi piuttosto che per far felice il politico di turno? Ciò che è peggio è che il temporale è diventato dopo pochi giorni una tempesta e la novità di questi giorni è che Fondo Monetario, Banche centrali e Unione Europea stanno già pensando ad un piano di salvataggio del piano di salvataggio… Non è un errore di battitura. È che sono bastati 3 giorni per capire che la lettera aveva dietro di sè un niente di consistenza politica e una nazione che in 20 anni di berlusconismo si è ancora più frantumata tra gruppi di caste privilegiate e una marea crescente di persone senza futuro.

Anni fa ero ad Honolulu. Attirano turisti persino facendo vedere quattro carcasse di navi (Pearl Harbour) e facendo visitare quella che, a loro dire, è la piantagione di ananas (!) più grande del mondo. Noi abbiamo 3.000 anni di storia, arte e cultura da vendere e proporre al mondo intero. Ma ci viene più facile mandare un ex cantante da navi di crociera a Bruxelles a contrabbandare una letterina di promesse per un piano di rilancio per 60 milioni di persone e fornirgli il megafono per lasciarlo raccontare anche che i cattivi stanno in Europa e che, in fondo, all’Euro non ci crede nessuno… Ma d’altro canto è lo stesso gaffeur che, parlando dell’hawaiano più famoso del momento (Barak Obama), lo definì “abbronzato”. Che ti pretendi, che i veri padroni dell’economia mondiale, finita la canzonetta e gli applausi di cortesia, lo prendessero anche sul serio?

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