Le sorprese non finiscono mai: ecco cosa è uscito dal cilindro di Pezzoni

Con una fretta degna di una grande causa, l’amministrazione Pezzoni ha modificato profondamente le regole finora vigenti per la vendita dei beni immobili comunali, indicando come via privilegiata la trattativa privata. Obiettivo dichiarato: snellire e velocizzare le procedure per la vendita di beni comunali. Obiettivo implicito: avere mano libera nella vendita immediata degli immobili delle farmacie comunali. Obiettivo a lungo termine: sottrarre (pericolosamente) la vendita di beni comunali a qualsiasi forma di alienazione tramite gara o asta.

Le modifiche più pesanti sono quelle degli articoli 11 e 12 del regolamento così come PdL e Lega l’hanno portato in Consiglio comunale per una delibera da Speedy Gonzales. La fretta, quando non è cattiva consigliera, significa sempre qualcosa di più di quanto viene ufficialmente dichiarato. Come andiamo a spiegare.

L’articolo 11 viene modificato, con il metodo aggiungo X, tolgo Y. Viene introdotto il principio che si può ricorrere alla trattativa privata mediante gara ufficiosa se il bene messo in vendita vale meno di € 400.000 (prima era 300.000). Viene cancellata dal regolamento la regola restrittiva “purché sussistano particolari difficoltà di mercato, da esplicitare in sede di determinazione a contrattare”. Quindi si può ricorrere alla trattativa privata anche se il bene è molto “appetito” e può essere messo in gara sul mercato con ottime possibilità di essere venduto (art. 11 comma 1). Non solo: il comma 11.3 recita “Sono invitati alla gara ufficiosa almeno n. 5 potenziali acquirenti”, cui è stato aggiunto “se sussistano in tale numero aspiranti idonei”. Cioè se non ce ne sono 5, basta anche uno solo. Una prelibatezza giuridica da “Fattoria degli animali” di George Orwell. Mi permetto una digressione: nella fattoria orwelliana i nuovi dittatori (i maiali) che hanno sostituito l’uomo nello sfruttamento degli altri animali della fattoria, svuotano di significato una per una le norme che avrebbero dovuto reggere la nuova società animale della fattoria, e lo fanno a colpi di aggiunte e integrazioni. Così, la legge–base della nuova, libera comunità dipinta sul muro del granaio (“Tutti gli animali sono uguali”) viene modificata nottetempo con la volpesca aggiunta “ma alcuni animali sono più uguali degli altri”.

All’articolo 12, quello che al comma 1 recita “È ammesso il ricorso alla trattativa privata senza particolari formalità, a seguito di pubblico incanto e/o gara ufficiosa deserti” viene aggiunto un comma 12.4: “È sempre ammessa la trattativa privata in caso di cessione a favore di altro ente pubblico o società partecipata a prevalente capitale pubblico locale, fondazioni partecipate, associazioni, ONLUS ed enti ecclesiastici”.

Sempre, cioè senza nessun vincolo, per esempio quello della scarsa appetibilità del bene oppure il suo valore massimo: si converrà che un conto è fare una trattativa privata per un trilocale da € 150.000, un conto è vendere a trattativa privata gli immobili delle farmacie di viale Piave e via Pontirolo che, sommati, fanno – secondo la nuova perizia fatta fare dal Comune – € 2.150.000).

Si dirà: se si fa più in fretta a vendere e incassare, perché sarebbe sbagliato? È sbagliato perché contravviene alle leggi che richiedono la vendita all’incanto degli immobili. Tutti sanno che l’asta è una gara, che consente di aggiudicare il bene in vendita al soggetto che offre di più. La norma consente all’ente Comune di spuntare il maggior beneficio economico possibile. Dove sta chi offre di più se può esserci anche un solo soggetto che concorre all’acquisto del bene? Che gara è con un solo concorrente?

Scrivere che la trattativa privata è sempre lecita quando si ha a che fare con un ente pubblico, società partecipata ecc., e senza nessuna condizione, né esistenza di motivi di urgenza, né limiti di valore del bene, significa ben di più che velocizzare le procedure di alienazione. È la deregulation (teorica) totale. Senza contare che nessuno ha spiegato quali vantaggi economici porterebbe al Comune la cessione senza gara a favore di un ente pubblico, di una società partecipata a prevalente capitale pubblico locale (definizione che pare cucita addosso a Ygea spa, che è 100% di capitale pubblico perché è del Comune e locale lo è di sicuro…), persino ad associazioni (non meglio qualificate), ONLUS ed enti ecclesiastici comporterebbe un vantaggio economico per il Comune?

La cronologia delle recenti mosse della Giunta (in 15 giorni ha varato le nuove nomine del CdA di Ygea e presentato e votato il nuovo regolamento per le alienazioni) pare proprio dire una cosa sola: i locali che ospitano le farmacie comunali, gestite da Ygea spa, saranno vendute a Ygea stessa, acquirente finale. Il Comune cioè vende a se stesso. Lo fa per sistemare con un giro di valzer i propri conti in vista del rispetto del Patto di stabilità e per scaricare il problema su Ygea nella speranza che riesca a pagare il debito che dovrà per forza contrarre. Speranza che, di questi tempi, con il trend della società e la prospettiva non ancora chiara della liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C, potrebbero rivelarsi una pia illusione. A nostro avviso, questa è comunque una procedura illecita perché costituisce una elusione del Patto di stabilità. Come il nuovo regolamento è viziato da illegittimità.

In Consiglio comunale abbiamo chiesto prudenza, un approfondimento e un rinvio della deliberazione sul regolamento. Ci è stato risposto picche. Verificheremo in altra sede se le nostre preoccupazioni circa questo sistema di dismissioni facili (che sono ben altro rispetto alle dismissioni facilitate) hanno ragione di essere, sia sul piano della legittimità sia sul piano dell’eventuale danno al Comune.

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