Il supermercato, l’ernia, l’Africa

Chi mi conosce sa che non amo fare la spesa.
Sono vittima di una forma allergica poco conosciuta che si attiva appena mi avvicino a quell’edificio dal nome fumettoso: supermercato.
Le reazioni tipiche sono: mal di testa, nervosismo, difficoltà motorie (evitare la gente quando si aggira per i corridoi con un carrello richiede doti atletiche non da poco), parziale perdita del senso dell’orientamento e delle capacità di calcolo ( 4,99 € + 7,75 €+ 2,31€ fa in totale… Ehm ).

Per questo motivo cerco di frequentare il meno possibile posti del genere ma, a volte, anche io devo addentrarmi in quel microclima condizionato in stile Antartide, nel periodo estivo, ed Ecuador in inverno.

Così sono entrato, armato di lista della spesa, ho acquistato il necessario per sopravvivere un’altra settimana e tutto è andato bene, fino al momento dell’uscita quando una mia vecchia amica, sui 40 anni circa, mi ferma con la voglia di aggiornami su vita, morte e miracoli della sua famiglia.

Parliamo di tutto e di più e quando, dopo decine di minuti, l’infinito monologo sembra volgere al termine, faccio l’errore di toccare l’argomento “lavoro”.

Gli occhi le si abbassano e il volto si fa scuro “purtroppo” dice lei “mio marito è a casa, senza stipendio, da più di un anno. Le pulizie che faccio, nei vari uffici, non bastano per mantenere la famiglia, siamo veramente in difficoltà, non so per quanto potremo andare avanti così”. Si dà la colpa alla crisi, ai politici incapaci, allo strapotere della finanza.

Nel frattempo mi si avvicina un venditore ambulante di origini africane. Tenta invano di vendermi un accendino e, pur di guadagnarsi quel paio di euro che gli permetterebbero un cappuccino, si offre di aiutarmi a caricare la spesa in macchina. Come ho già detto, non mi diverto a fare acquisti, così come non mi diverto a caricare la spesa in macchina. Sono felice quindi di ricompensarlo per il suo aiuto.

Intanto continuo a parlare con la mia amica e saluto Matteo (dice che questo è l’equivalente italiano del suo nome africano, che non saprei trascrivere, quindi lo chiamerò così d’ora in poi) che si allontana da noi per raggiungere altri clienti.

Pochi secondi dopo la mia interlocutrice, forse per seria convinzione, forse per rabbia, si lascia sfuggire: “… e poi è tutta colpa loro, di quelli lì…” indicando Matteo “… danno il lavoro solo a LORO e noi rimaniamo a casa”.

Non faccio in tempo a controbattere quando noto che il ragazzo, chiamato in causa, ha sentito tutto, si ferma, si gira e torna verso di noi. Inizio a sudare freddo. Sarà arrabbiato? Come posso dire che non sono d’accordo senza offendere la mia amica? Che brutta situazione… lo sapevo che dovevo stare a casa!

Guardo Matteo e mi tranquillizzo, non è affatto arrabbiato. Esibisce un sorriso e dice: “Signora, vuoi fare il mio lavoro? Facciamo cambio per un giorno, è questo il mio lavoro”.

Le porge la sacca con i prodotti da vendere.

“Tieni…”.

Imbarazzo. Silenzio. La replica è incerta: “No, no… io… no è che, insomma, VOI prendete tutti i nostri lavori, non questo, ma gli altri. Fate i muratori, gli operai nelle ditte, sistemate le strade, fate gli spazzini e non lasciate niente a NOI.”

Assisto incuriosito senza intromettermi. Il ragazzo le dice con serenità: “Lo faresti, tu, di portare mattoni tutto il giorno sulle spalle?”

“Io no, ma mio marito si che lo farebbe!” risponde stizzita.

” E perché non lo fa?” ribatte con un sorriso.

Silenzio. Attimi di imbarazzo.

“Dai, se lui vuole, lo posso dire al mio amico muratore e così fanno cambio. A lui non fa niente dare a tuo marito il suo lavoro per qualche giorno”.

Guardo la mia amica attendendo una risposta. Anche Matteo la guarda. Due sguardi sono troppi, deve rispondere:

“Lui non lo fa, non può fare il muratore perché… perché ha L’ERNIA!!”

Il ragazzo ride: “cosa vuole dire ernia? Lui ha l’ernia? Io invece ho L’AFRICA!”

E se ne va sorridendo per quella strana parola incomprensibile.

Rido anche io. La mia amica invece non ride, sorride… Forse anche lei, oggi, ha imparato qualcosa di importante .

Non so se rivedrò mai quel ragazzo per spiegargli cosa significa avere l’ernia e raccontargli i drammi del mal di schiena, ma per questa sera sono soddisfatto: fare la spesa, per una volta, non è stato tempo perso.

Gabriele Lingiardi

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