Chiacchiere e maglioncino blu

Marchionne e Berlusconi hanno due cose, sopra tutto, in comune. Entrambi predicano il “fare”, ma nel concreto riducono il fare al fare annunci e al dis-fare.

Il Capo del Governo annuncia costantemente che “domani” ridurrà le tasse, che “domani” finalmente farà uno spettacolare decreto per lo sviluppo, che “domani” riformerà il Paese. L’uomo con il maglioncino ci annuncia ogni quadrimestre cosa costruirà a Mirafori, non domani ma “domani” (2013), che non domani ma “domani” (quando?) finalmente partirà il grande piano di “Fabbrica Italia”, mentre domani (non “domani”) chiuderà Termini Imerese.

Quanto al dis–fare, però, l’uomo con il maglioncino negli ultimi mesi è riuscito ad emulare e forse a battere il noto Silvio nazionale. Perché dietro gli accordi separati di Pomigliano e Mirafiori e dietro l’ultimo strappo con Confindustria non c’è nessuna strategia se non quella di distruggere. Non c’è un piano industriale o una visione diversa, nuova o vecchia che sia, dei sistema–Paese. C’è solo la necessità di avere ogni volta una scusa per giustificare il nulla che sta facendo per la FIAT in Italia. Prima ci ha raccontato che il problema era la CGIL e che, invece… vuoi mettere i sindacati made in USA? Poi, quando anche quelli lo hanno preso a muso duro (peccato che pochi giornali italiani lo abbiano raccontato), allora il problema è diventata l’appartenenza a Confindustria e la scelta di quest’ultima di “fare politica” (la Marcegaglia fa politica ? ma va làààà…).

E cosi mentre l’Italia, e con lei mezza Europa, si aggrappa ai soldi di quella Germania che ha il sindacato più forte del vecchio continente, mentre il Paese più flessibile dell’Occidente civilizzato (là dove l’uomo del maglioncino vuol portare la sede della FIAT — checché ne dica…) non riesce comunque a saltar fuori dalla crisi strutturale in cui si trova, ecco che Marchionne continua ad inventarsi ogni mese una scusa diversa per spiegarci il suo non–fare.

E questo suo non–fare e dis–fare è la cifra che meglio spiega che è Marchionne ad essere sceso in politica, da almeno un anno a questa parte. Ha fatto saltare la fragile convivenza di CGIL, CISL e UIL,  solleticando queste ultime due sul loro lato debole: le loro mire, altrettanto politiche, di accreditarsi come il sindacato di riferimento della maggioranza governativa oggi e dell’erigendo terzo polo domani, a costo di distruggere l’unità sindacale. (Ma quando il Berlusconismo sarà finito, qualcuno di CISL e UIL si chiederà se ne è valsa la pena?). Marchionne ha puntato a minimizzare e svuotare Confindustria esattamente in modo uguale e contrario alle prese di distanza di Confindustria dal Governo, presentandosi come il rappresentante dell’ala industriale filo Sacconi–Berlusconi “per definizione”.  Perché stare o non stare in Confindustria pare essere mille volte più importante e urgente che fare della FIAT un’azienda finalmente competitiva a livello mondiale.

Esattamente come elaborare l’ennesima versione del Decreto contro le intercettazioni telefoniche è mille volte più importante del far qualcosa di serio per tamponare la crisi ormai galoppante.

Perché, a pensarci bene, i due hanno un’altra caratteristica in comune: scambiare il loro ombelico con il mondo. Solo che il mondo non lo sa… E noi lo stiamo pagando.

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