La casa di Silvia. Un manifesto politico

La casa di SilviaNon ho mai chiesto autografi a cantanti, scrittori, politici o cardinali. Non mi sono mai messo in posa per un selfie con qualcuno di famoso. Nelle poche occasioni che ho avuto mi sono tenuto alla larga. Non dedicherei a nessuno di loro le vie di una città per quanto significativo possa essere stato il loro contributo alla cultura, all’arte, all’economia nazionale o locale.

Lascerei che le targhe delle nostre vie e delle nostre piazze mostrassero i nomi dei martiri, cioè quelli che, compiendo il sacrificio più grande, hanno dato la vita per i loro simili.
A Treviglio non c’è una via dedicata a Martin Luther King, Gandhi… Nessuna dedicata a coloro che muiono dopo essersi tuffati in un fiume per salvare chi sta annegando senza averlo mai incontrato prima. Non sono forse questi i più degni per indicare la strada?

Ma una palestra, un palazzetto, una sala e soprattutto un teatro lo dedicherei a chi con il proprio impegno si è dedicato a ridurre le sofferenze del prossimo e con la sua vita ha provato a spiegare che è un atto dovuto, al quale non si possono sottrarre né i singoli né la società. In modo particolare quando questi fanno esperienza di tante “umiliazioni subite da parte dello Stato e dai suoi rappresentanti … lottando contro inutili scartoffie, incontrando burocrati talvolta strafottenti e crudeli come i cattivi delle favole.”

Cito dal libro “La casa di Silvia e le porte aperte del cuore” scritto da Angela e Dario Orsanigo e presentato all’Oratorio San Zeno sabato 14 marzo. Angela e Dario sono la mamma ed il papà di Silvia, Silvietta per noi. Li incontri tranquilli per le vie del quartiere senza pensare che proprio con loro un selfie dovresti farlo per come hanno vissuto la disabilità della figlia, per il rispetto che si deve a tutti quelli che come loro si sono chinati sulle ferite della città.

Mi prendo la responsabilità di dire che questo libro è anche un serio spunto per un manifesto politico e amministrativo. Capace di partire dalla vita della gente per organizzare il suo piano economico, da chi fa più fatica per disporre i suoi investimenti, dalle diversità per disegnare spazi dignitosi per tutti.

C’è modo di fare il bilancio di una amministrazione anche per cogliere se la città e la sua gente hanno assunto un volto più umano? O bisogna solo fare valutazioni dove l’unica unità di misura è il metro quadrato?

Vi invito a leggere il libro e propongo solo tre brevi ma densi passaggi.

“In tempi lontani, quando l’economia era in forte espansione, pare non ci fosse la sensibilità di affrontare in modo coerente e complessivo le problematiche della disabilità.
Ora che la politica si dice matura, e addirittura consapevole, ora che la disabilità non rappresenta un peso per la società ma una risorsa, si parla di coperta corta, che non riesce a coprire del tutto i cittadini, come se si dimenticasse che un buon padre di famiglia, pur con le lacrime agli occhi e il cuore pieno di dolore, con la coperta cercherebbe di coprire i figli più deboli.”

“Non possiamo eludere il bisogno dei fratelli in difficoltà; la nostra coscienza ci deve impedire di scavalcare il viandante.”

“E oggi più che mai, in questa società che per motivi di sofferenza economica e di sollecitazioni culturali individualistiche sta diventando sempre più arida nei rapporti umani, per costruire e sviluppare una rete di aiuti, di prossimità, abbiamo bisogno di testimoni credibili, che si possano riconoscere e tentare di imitare. Credo che dobbiamo trovare tutti per davvero il coraggio di tenere la porta del cuore aperta.”

Ci ritorneremo sopra.

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