Cromo: una storia infinita?

I nuovi plumi di inquinamento da cromo VI aggravano il problema. Mozione dei gruppi consiliari PD e ABS per sostenere l’azione dell’Ufficio Ambiente. Necessario che il Comune denunci chi inquina.

Il rischio paventato che l’inquinamento da cromo potesse ripetersi o riprendere non è più un rischio, ma una realtà. I piezometri installati a Verdellino nel quadro degli interventi a carico della Cromoplastica srl hanno rivelato l’esistenza di due nuove fonti di inquinamento. La relazione tecnica di ARPA consegnata il 7 settembre scorso chiama in causa, per ora, la Nuova IGB di Verdellino come nuovo focolaio di inquinamento da cromo esavalente. Altri rilievi ci diranno quale è l’azienda responsabile di un secondo focolaio rilevato dai piezometri di Ciserano. Forse c’era da aspettarselo in una zona industriale dove sono presenti almeno 37 aziende galvaniche e metalmeccaniche che usano il cromo nelle loro lavorazioni. Aziende che non sono sottoposte con regolarità a controlli antinquinamento perché l’Agenzia regionale e gli uffici della Provincia non sono dotati di mezzi e risorse umane e finanziarie adeguate. Nel frattempo, i dati delle analisi non rassicurano e la preoccupazione tende a salire. Perché, sfortunatamente, a causa della conformazione della falda acquifera trevigliese, i danni ambientali causati a nord si riversano tutti sul nostro territorio.

Ne abbiamo già avuto esperienza in passato. E adesso la storia si ripete.

I Comuni – il nostro come quelli di Ciserano, Castel Rozzone e Verdellino — e l’Ufficio Ambiente non hanno mai sottovalutato il problema. Anzi. Ma non hanno strumenti tecnici, né risorse economiche, né competenze affidate per poter operare da soli. Né per la prevenzione, né per la bonifica.

Ora i dati sono lì da vedere. Le concentrazioni di cromo VI nei pozzi privati a nord di Treviglio (via Bergamo e al confine con Castel Rozzone) hanno ripreso a salire. Non si tratta dei pozzi dell’acquedotto comunale, che danno acqua potabile di buona qualità, a maggior ragione se già ristrutturati e approfonditi come il pozzo di via Terni. Ma segnalano la necessità di intercettare il plume di inquinamento che sta scendendo verso di noi.

La Regione ha deliberato (ma non ancora erogato) un finanziamento di 2,5 milioni di Euro per creare una barriera idraulica nel territorio di Ciserano. A giudizio dei nostri tecnici e consulenti, tuttavia, questa barriera non è in grado di intercettare l’inquinante che scorre verso la nostra falda. È necessario creare una barriera più a sud. Utilizzando due pozzi che ci sono già: quello della Berlona, scavato per la bonifica dell’inquinamento del 2001 e ora disattivato ma riattivabile, e quello già operante della Farchemia e scavandone un terzo al confine con Castel Rozzone, a sud dell’attuale Pz8, La bonifica avviene così: dai pozzi si emunge l’acqua inquinata, che viene riversata – norme di legge alla mano – nelle acqua di superficie, cioè in roggia.

Non è il Comune che deve (né lo potrebbe, stando sempre alle norme) allestire questo pozzo. La bonifica è competenza regionale. I costi sono a carico dell’azienda che ha inquinato, una delle quali già accertata. Ma sta al Comune smuovere la Regione in questo senso. E denunciare alla Procura della Repubblica – come l’Amministrazione Borghi ha fatto per la Cromoplastica – le aziende riconosciute dall’ARPA come responsabili dell’inquinamento. In questa direzione va la  mozione che abbiamo presentato in Consiglio comunale e che speriamo venga accolta anche dalla maggioranza PdL–Lega.

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