Lascia stupefatti vedere che nella vicenda che coinvolge il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ed i suoi amici, il compito di richiamo ad un profilo più alto (o meno basso) sia lasciato nelle mani di una donna (perché stufa di una situazione sopra le righe e molto distante dagli ideali giovanili, perché amareggiata dall’isolamento nel quale è stato lasciato il marito Antonio Simone in carcere…), semplice “militante ciellina della prima ora”, come lei stessa si definisce nella lettera al Corriere della Sera nella quale dice di Formigoni:
“Ebbene lo spettacolo dei suoi «rapporti» con Daccò è sotto gli occhi dei molti chef d’alto bordo dove regolarmente veniva nutrito a spese di Daccò stesso, vuoi Sadler, vuoi Cracco, vuoi Santin, vuoi Aimo e Nadia, per non parlare dei locali «à la page» della Costa Smeralda dove a chi, come me, accadeva di passare per motivi vari, era possibilissimo ammirare il nostro Governatore seguire come un cagnolino al guinzaglio Daccò, lo stesso con cui non aveva rapporti diretti. Vederli insieme era una gioia degli occhi: soprattutto per una come me che assieme a tanti altri meravigliosi amici di Cl ha militato per lui volantinando, incontrando gente, garantendo sulla sua persona… Cl, a mio avviso, deve avere un sussulto di gelosia per la propria identità, per quello che Giussani pensava al momento della fondazione. A questo punto, bisogna domandarsi, con Benedetto XVI: «Perché facciamo quello che facciamo?».” (Carla Vites)
La questione non è ovviamente nel fatto che sia una donna a parlarne ma che ci sia silenzio agli apici di quel mondo ciellino pesantemente coinvolto. Nessuno di quelli che hanno occupato tutto l’occupabile (soprattutto nella sanità, che assorbe quota parte del bilancio regionale) sotto il controllo del “celeste” governatore lombardo ha mosso un verbo per dire che, forse, il comportamento tenuto in questi anni 20 anni di sbornia non è stato esattamente quello atteso da chi si vantava di “aver incontrato e di essere in compagnia di Cristo”.
Partiti con l’idea che si dovesse prima conquistare il potere per poi rendere più cristiana la società, siamo giunti al conto finale di una guerra santa che ha bruciato persone e conquistato le briciole.
Partiti guardando in alto ai posti che contano per sistemare gli amici, le proprie scuole e le loro attività imprenditoriali, si sono dimenticati di dare dignità e valore politico ai tanti esempi di vita secondo il Vangelo (nelle famiglie accoglienti, nella solidarietà internazionale) che certo non mancano in Comunione e liberazione.
Se Formigoni ed i suoi amici hanno rappresentato questo desolante spettacolo di vite lontane dai propositi iniziali, se l’abbraccio mortale con Berlusconi ha chiesto di ingoiare una immagine di famiglia distante anni luce dai proclami pubblici, se la necessità dei voti di Bossi ha imposto di soprassedere al vincolo di rispetto per le persone immigrate, allora forse non ne valeva la pena.
Ma bisognava attendere le disgrazie di Berlusconi, Bossi e Formigoni per dare un segnale? Forse è il caso che, oltre a Carla Vites, qualcuno che conta per responsabilità nel movimento ecclesiale esprima un pensiero chiaro su questo decisamente non brillante periodo. Prima che tutto sia trascinato a fondo.