La gente penserà… solo quello che voglio io

Partiamo da un presupposto: non è facile stare dalla parte di Sallusti.

La spudoratezza e il gusto per la sparata dell’ex (?) direttore de «il Giornale» non possono che fare da repellente per chi crede in un certo tipo di giornalismo. Allo stesso tempo non si può rimanere indifferenti al caso giudiziario che si è aperto con la sua condanna a 14 mesi di carcere per avere pubblicato un articolo anonimo (il firmatario si fece chiamare Dreyfus) sul quotidiano «Libero». L’autore del pezzo incriminato riportava una notizia falsa, esposta con toni molto accesi. Non entro nel merito della questione del contenuto e della storia raccontata nell’articolo, probabilmente ne sarete già a conoscenza (in caso contrario ecco un bel riassunto http://www.ilpost.it/2012/09/21/perche-sallusti-rischia-il-carcere/), mi chiedo però se il carcere per avere pubblicato una notizia falsa sia o meno una soluzione eccessivamente dura. La risposta è meno scontata di quello che si potrebbe pensare.

Ovviamente il reato di opinione non dovrebbe esistere in un Paese che si ritenga civile. Io devo essere libero di scrivere queste righe in totale autonomia e senza essere giudicato — o meglio, condannato — per ciò che penso e che dico. In Italia la legislazione a riguardo è vecchia o male aggiornata, non c’è dubbio. E così, pochi istanti dopo che il titolo “vergogna” è apparso sopra la foto di un Sallusti dal volto scuro, tutte le forze politiche si sono unite nella condanna della decisione. Fin qui tutto bene.

È stato quello che è arrivato dopo che ci ha ricordato di essere in Italia, un Paese famoso per i suoi martiri e per l’assenza di grigio. Vediamo solo bianco e nero.

Alessandro Sallusti si è trasformato, forse controvoglia, questo spetta a lui dirlo, in un martire immolatosi per la patria e per la libertà di stampa. Puff, di colpo spazzati via anni di titolacci (“Vaffanmerkel” non è geniale, è solo volgare ) e di false notizie.

Ci siamo dimenticati che per ogni notizia falsa c’è sempre una vittima. E spesso questa notizia falsa rovina la vita di chi la subisce. Vi ricordate il signor Boffo? Una carriera rovinata e solo una colonna in piccolo, qualche tempo dopo, di scuse.

Ritengo che Sallusti sia vittima di una legge eccessivamente dura, ma che non sia privo di colpe. Il ruolo che ricopre gli impone il dovere di controllare parola per parola tutto ciò che viene pubblicato sotto la sua direzione. Potere e responsabilità. La parola è un’arma incredibile, lui l’ha usata nel modo sbagliato, ed è lecito pensare che l’abbia fatto volontariamente. In ogni caso un controllo ci deve essere, ma che tipo di controllo? Basterà cambiare la legge?

Da vent’anni circa è entrata in gioco una nuova variabile nel mondo del giornalismo: Internet. Sul web, strumento democratico per eccellenza, la libertà di opinione è garantita nel 99% di casi, ma non sempre si può esserne felici.

Ci si mette 30 secondi a produrre una notizia falsa, e 30 giorni a smentirla.

E allora eccoci a combattere giornalmente sui social network perché le nostre azioni e i nostri scritti vengano riportati con fedeltà dagli amici e non usati contro di noi dai nemici. I blog senza la possibilità di aggiungere commenti sono sempre meno. Tutti parlano, tutti hanno un’opinione. E i toni, inevitabilmente, si accendono e degenerano. L’insulto diventa convenzione.

Ma questa tecnologia giovane e costantemente in movimento è riuscita a crearsi delle regole e degli strumenti per controllare che le informazioni fluiscano correttamente. Questi strumenti sono gli utenti stessi. Sui forum ci sono i moderatori che possono togliere la parola nel caso non fossero rispettate le regole della discussione, i commenti possono essere valutati dal lettore e spesso il “pollice verso” accanto al nome dell’utente significa ”attenzione, notizia falsa, girare alla larga”. Si può eliminare dagli “amici” l’utente non gradito e si possono segnalare in pochi click i comportamenti scorretti. Scommetto che il sistema si perfezionerà ulteriormente con il tempo e si riuscirà a raggiungere un giusto equilibrio tra libertà e controllo.

La carta stampata invece è rigida, poco flessibile e chiusa in sé stessa. L’inchiostro non può più essere corretto una volta impregnate le pagine. Scripta manent, e forse è questo il bello, ma così non si può andare avanti.

Un giornalista non può andare in carcere per quello che scrive, ma allo stesso tempo non può scrivere quello che vuole, e non sono certo che una pena esclusivamente pecuniaria sia la soluzione. Guardiamo al web e agli utenti che controllano gli altri utenti. Siamo sicuri che sia così lontano dal mondo ad inchiostro? Se solo i lettori iniziassero a pretendere dal loro giornale la verità e, nel caso questa non arrivasse, smettessero di farsi abbindolare dai titoli ad effetto e non lo comprassero più, allora sicuramente il tiro verrebbe corretto. Adattarsi o morire. Il carcere per Sallusti è vergognoso, ma lo è anche il fatto che nessuno si fosse indignato al momento della pubblicazione di quella lettera di quel (ormai non più) misterioso Dreyfus. Ecco, forse sarebbe bello che l’autore della lettera si prendesse maggiori responsabilità. A volte bisogna fare qualcosa di più che chiedere scusa, ma forse Renato “Dreyfus” Farina non lo sa.

Cambiate la legge allora, e alla svelta. Radiare un giornalista dall’Albo è meglio che arrestarlo.

Ma si può fare ancora di più; è possibile dare una svolta di qualità alla carta stampata, una soluzione per fare avvicinare sempre di più il giornalismo alla verità c’è, ed è il nostro senso critico. Usiamolo.

PS — Il titolo è una citazione di “Quarto potere”. Se l’avete colto, sono fiero di voi.

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