“Abbiamo parlato in questa campagna elettorale di fatti, di fatti economici, di cifre, di progressi sociali, di riforme, di economia. Ma la democrazia politica è duplice: è formale e sostanziale. La forma è la garanzia dell’essenza, e l’essenza è il senso di giustizia e la giustizia vuole la libertà della persona e una equa disponibilità dei beni”.
Avremmo potuto ascrivere queste parole a Matteo Renzi ed alla sua azione politica e di governo, invece sono parole di un grande statista, Alcide De Gasperi, uno per cui non era importante il sapere chi va a destra o a sinistra, ma chi va avanti verso la giustizia sociale.
In Italia abbiamo perso troppo tempo a rincorrere il falso mito del sogno americano, ce lo aveva già spiegato del resto oltre quaranta anni fa il grande JFK quando a Roma pronunciò un discorso importante, scevro dei lustrini delle insegne di Hollywood e di Las Vegas, e pregno di impegni per il futuro per una Nazione che doveva cambiare il modo di lavorare, nelle fabbriche come nei campi; una Nazione che doveva sconfiggere il morbo del razzismo; una Nazione che doveva creare le case della libertà.
L‘Italia ha una democrazia ancor giovane, ma ha una storia ricca di valori e sentimenti, una storia che non può ammuffire o ricoprirsi di polvere.
Non abbiamo bisogno delle eruzioni vulcaniche, non abbiamo bisogno di gente seppellita dalle ceneri, non abbiamo bisogno di chi vuole trasformare questo nostro Paese in una immensa Ercolano e Pompei: e non abbiamo bisogno di stupidi stereotipi.
L‘azione del M5S è stata per molti versi meritoria, ha messo a nudo un certo andazzo politico che andava corretto e, in alcuni casi, spazzato via.
È mancato però il passo successivo, quello del confronto democratico sulle grandi questioni economico–sociali, sulla gestione e sulla proposta percorribile.
Non si può pensare d‘avere sempre ragione, che tutto il resto puzza, che prima tutto era sbagliato, perché la prima domanda che vien da porsi è: ma prima, dove eravate?
Quali battaglie, quale impegno sociale, quale percorso se la prima regola è non l‘aver fatto parte di partiti politici, o di non aver amministrato, come se fare politica fosse stato sempre e comunque un affronto alla dignità umana.
Matteo Renzi non si è posto contro qualcuno, ma ha lanciato un nuovo modo di pensare, quell’andare verso che è anche il messaggio dei grandi padri della patria, siano essi stati cattolici o liberali o socialisti o comunisti.
Non è quella la conditio sine qua non, non è l’appartenenza meramente partitica, ma una condizione etica lo status da ricordare e rifar proprio.
Oscar Farinetti alla Leopolda sintetizzava questo concetto con il buon esempio, talmente semplice da apparire quasi una banalità per chi vuol piegare il tutto ad un mero (presunto) scontro ideologico e che dunque non parte dalla persona, da noi stessi, che di quel buon esempio dobbiamo invece esserne fautori.
E il buon esempio completo, viene non solo da ciò che si fa oggi, ma dalla memoria, che non può essere cancellata o piegata a seconda dei casi e delle convenienze.
Memoria come Mnemosyne, madre del pensiero in tutte le sue forme laddove “la ricerca del tempo perduto non è l’attardarsi nostalgico nelle immagini del passato, nell’impossibile ricerca di far rivivere “l’ora di allora”, ma l’accordare alla vita vissuta quello che non le fu concesso: più tempo per permanere; il tempo di una rinascita, di una nascita in altro modo, questa volta nel campo della visione” (R. Prezzo).
In questo mondo che fagocita le notizie senza nemmeno dar loro il tempo di divenire Storia, alcune riflessioni devono ergersi come baluardo del Tempo aristotelico, trasformarsi in azione di ampio respiro, perché è finito il tempo della tattica ed è tempo di strategia.
Diceva Sun Tzu che “se le regole non sono chiare e le spiegazioni sono prive di fervore, la colpa è del generale; se dopo i chiarimenti non ci si conforma alle regole, la colpa è degli ufficiali”.
Credo sia capzioso domandarsi de “l’uomo solo al comando”, dell’effetto Renzi o di Tizio Caio e Sempronio, meglio provare a seminare per raccogliere il frutto di un sentimento più grande, tanti piccoli fuochi a mantener vivo il calore della partecipazione.
Giovanni Senziani