FIBER, ultimo atto?

È domenica sera, le 22 e 30. So che uno dei delegati RSU dell’AZ Fiber (ex FIBER) fa il turno notturno, quindi posso incontrarlo solo dopo le 22. Lo trovo fuori dai cancelli in compagnia di alcuni suoi colleghi perché quello che sta facendo, lui ed una trentina di dipendenti è un presidio, 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, suddivisi su tre turni, proprio come tanti lavoratori che lavorano a ciclo continuo. Completamente auto–organizzato. Ma loro montano il turno per difendere il proprio posto di lavoro, senza retribuzione, senza certezze, senza appoggi. La AZ Fiber, che aveva acquisito la FIBER tre anni fa, e per tre anni ha prodotto e venduto, ha cambiato nome in ESA, ed ha dichiarato il fallimento il 25 settembre.
Da quel giorno i sessanta dipendenti sono senza stipendio ed una parte di essi ha iniziato, anzi ri–iniziato (un precedente presidio aveva impedito la liquidazione dell’azienda, permettendone la vendita agli attuali proprietari tedeschi) a presidiare i cancelli per evitare che la fabbrica venga svuotata dei macchinari, delle merci. Di tutto quello che può servire a riprendere la produzione.
Perché loro, i lavoratori, nella loro fabbrica e nel loro lavoro ci credono. La loro è una produzione di nicchia, ma molto ricercata. I clienti ci sono, affezionati e di vecchia data e cercano ancora la vecchia FIBER. Le maestranze specializzate, la professionalità, il know how ci sono.
Quello che è mancato è stata la managerialità, le scelte strategiche, il management, la gestione quotidiana del lavoro, all’altezza della situazione.

Ora il futuro dell’azienda è in mano al curatore fallimentare, che può decidere di porre fine all’attività lavorativa, nel qual caso i dipendenti hanno diritto alla mobilità e poi sono a spasso. Oppure concedere un anno di continuità lavorativa, tempo in cui è ancora possibile trovare un nuovo compratore che creda in questa azienda come ci credono questi lavoratori.
Purtroppo il curatore fallimentare ha deciso per la prima ipotesi ed ha iniziato la procedura (60 giorni di tempo) per mettere in mobilità i dipendenti. Mobilità che viene garantita in base all’età. E che dall’anno prossimo vedrà peggiorare i propri parametri. Quindi il tempo che passa gioca contro i lavoratori.
Che però di mobilità proprio non ne vogliono sapere perché sperano e credono, sostenuti dalla FIOM, ancora nella possibilità di avere un anno di continuità lavorativa, dato che ci sono i clienti, ci sono gli ordini.
Durante i vari mesi di presidio sono stati presi a sassate, con tanto di vetri di auto e camper fracassati. Si sono presi insulti, minacce. Ma sono ancora lì (e l’80% sono donne) a fare primo–secondo–notte ad aspettare un decisione che segnerà per sempre il loro futuro.

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