Lampedusiamoci

“Da quel diluvio in tanti rischi spinti/ per l’immensa distesa d’ogni mare,/ una piccola sede ora cerchiamo/ pei patri Dei; e un lido, l’aria, l’acqua/ che a nessuno si nega!…”

Questi versi di Virgilio (Eneide, VII, vv. 325-329) sono riportati sull’opera Il naufrago, in polistirolo dipinto e mosaico, realizzata dallo scultore molisano Antonio Natale Di Maria. È un uomo piegato su uno scoglio, le braccia e le gambe gli penzolano, non ha la forza di aggrapparsi, la testa è girata da un lato e la guancia è appoggiata sulla pietra. Gli occhi sono chiusi, la bocca semiaperta. L’impressione è che sia stato spinto e adagiato in quella posizione dalle onde, un naufrago fortunato alla fine, come tutti i naufraghi che riescono ad arrivare a Lampedusa. L’opera è stata appunto donata alla comunità di Lampedusa “quale tributo alla capacità dimostrata nell’abbraccio verso il prossimo, esempio di solidarietà, integrazione e coraggio per il Mediterraneo e l’Europa.”

C’è già tutto quello che si può dire su quest’isola nella dedica di Di Maria, la cui opera può essere vista nella sala d’attesa del comune di Lampedusa davanti alla porta dell’ufficio della sindaca, Giusi Nicolini.

Non è l’unico omaggio all’isola perché accanto a opere di artisti ci sono anche bandiere della pace inviate da scuole, anche del Nord, con tutte le firme degli alunni, e fa bene alla mente e al cuore pensare al lavoro fatto nelle classi che ha preceduto la raccolta dei tanti nomi.

A Lampedusa c’è anche un piccolo museo il MARP, Museo Archeologico delle Pelagie, e  il 3 giugno il presidente Mattarella ha inaugurato la sezione che si chiama “Verso il Museo della Fiducia e del Dialogo per il Mediterraneo”. Anche qui, accanto a opere importanti come “L’Amorino dormiente” del Caravaggio, arrivato dalla Galleria degli Uffizi a ricordare i tanti bambini partiti sui barconi che non ce l’hanno fatta, ci sono bacheche che raccolgono semplici oggetti recuperati dai naufragi: uno spazzolino da denti, una foto tessera, un orologio, un cellulare, un passaporto, una scheda telefonica, foglietti di appunti.

“Signor Capo dello Stato Italiano, conservi la mia scodella di cocco in un museo, sono rappresentante di un fenomeno sociale, ne va della sua storia!”

Sono le parole dell’attrice franco algerina Nadia Kibout, interprete del monologo “Lampedusa Beach” di Lina Prosa presentato a Lampedusa la sera dell’otto luglio davanti al Presidente del senato Piero Grasso e a una sfilza di autorità riunite sull’isola per il premio giornalistico internazionale dedicato a Cristiana Matano che ha voluto farsi seppellire a Lampedusa.

“Signor Capo dello Stato Italiano, togli l’acqua che separa l’Africa da Lampedusa, noi non abbiamo i mezzi.”
La Kibout dà voce a una giovane emigrante che parte dalla Libia dopo che la sua famiglia ha raccolto la somma dovuta per il viaggio e che è costata tre anni di risparmi, si imbarca e, come accade spesso, fa naufragio.

Il monologo rappresenta le sensazioni e le riflessioni della giovane donna mentre annega, parla in apnea, si rivolge ai capi di Stato, a Dio,  infine il suo corpo tocca il fondo sabbioso della tanto sognata Lampedusa.

Oggi, nel 2016, Lampedusa ha saputo uscire dall’emergenza, è diventata una perfetta macchina organizzativa; lo stesso Presidente Grasso, presente allo sbarco di 125 emigranti il giorno 9 luglio, si è sentito emozionato e orgoglioso per l’efficienza delle operazioni che fanno di quest’isola un modello da esportare.

Ma Lampedusa ha sempre saputo rappresentare l’accoglienza anche nell’emergenza. Da citare una frase famosa della sindaca Nicolini: “Di troppa accoglienza non è morto mai nessuno”.

Le persone del posto raccontano che al tempo dei primi sbarchi preparavano panini da dare a quanti arrivavano.

Cosa hanno questi lampedusani che li rende così ospitali? Non hanno forse disagi? Non si sentono a volte messi quasi in secondo piano? Non si sentono invasi?

Certamente. I lampedusani hanno disagi, si sentono spesso messi in secondo piano, vivono su un’isola di 20 chilometri quadrati.

E allora? Il loro DNA è diverso?

Probabilmente no, ma non è da sottovalutare che vivono in simbiosi con il mare e dal mare arriva la prima lezione che impone di non lasciare nessun uomo in balia delle onde.

I lampedusani hanno visto arrivare gli emigranti, hanno potuto guardare i loro occhi nei quali hanno letto la stanchezza, la fatica, la paura, il disorientamento e, come ha detto anche il presidente Grasso, a volte la luce della speranza. Se tutto questo lo si conosce, lo si è visto, lo si è sentito, non si può fare a meno di accogliere, di ristorare, di alleviare.

Ma forse la lezione più importante è stata il grande esempio di civiltà del loro primo cittadino. Per la sindaca Nicolini l’accoglienza non è un atto di buonismo, ma un dovere morale di tutti, e coloro che arrivano hanno il diritto di vedere riconosciuti i loro diritti. “Signor Capo dello Stato Africano, la bontà è odiosa!” dice l’attrice in un momento dello spettacolo.

La sindaca, quando la si elogia per quello che fa e che ha fatto, risponde “mi sono solo presa le responsabilità che il mio ruolo comporta”.

Intanto l’isola è piena di iniziative, anche manifestazioni di altissimo livello che cercano di far capire tutta la positività del fenomeno emigrazione. Claudio Baglioni, di casa sull’isola, con il suo festival di musica leggera O’ Scià (fiato mio o mio respiro), nato come forma di sensibilizzazione sul problema dell’immigrazione clandestina, ha contribuito molto a trasformare un punto come Lampedusa in un posto di grande spessore.

Edoardo Bennato, che ha voluto  partecipare gratis all’evento del premio giornalistico internazionale Cristiana Matano, ha presentato la canzone “È Lei” dove dice: “È lei che proprio in questo istante sta nascendo/nell’angolo più povero del mondo/ Che forse questo mondo cambierà/ È lei perché la povertà le dà un vantaggio/ Le dà più leggerezza e più coraggio/E con questo vantaggio lotterà/ Contro guerre senza ragione/ Contro guerre senza pietà…”

I cambiamenti non possono venire da quelli il cui unico scopo è difendere i propri privilegi.

Carmela Guglielmotti

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