Eccola qui, dov’è finita. Non si può che provare disagio e anche rabbia nel vedere il disinteresse e la sinecura con cui si trattano i beni pubblici. Perché la fontana (ex fontana) di piazza Paolo VI è un bene pubblico. Chi ha materialmente ammassato nel deposito comunale di via Redipuglia le componenti della fontana — vista così, niente di più che un ammasso di rottami — non ne ha né colpa né responsabilità. Ha eseguito. Il fatto è che una stupidaggine tira l’altra, come le ciliegie. E l’aver rimosso il “manufatto” senza sapere bene cosa farne è stato un azzardo che ha portato a questo bel risultato: un gioiellino buttato in cortile. Un tecnico comunale me l’ha definita “una Ferrari”, nel senso di bella, ma da trattarsi con i guanti, con la dovuta attenzione e cura. Bene. Noi abbiamo una Amministrazione che le Ferrari le toglie ai cittadini e le lascia a marcire in un cortile. Ho letto sulle pagine dei settimanali locali — che hanno pubblicato il progetto di una diversa collocazione poi mandata in soffitta — che… basta, non se ne farà più nulla, da nessuna parte, perché la manutenzione costa. E allora? Anche la manutenzione dei parchi costa. Cosa facciamo, diamo via libera alla gramigna e alle sterpaglie? O mettiamo ovunque l’erba sintetica così non è da tagliare e risparmiamo? Mi sono tolta lo sfizio di andare a vedere da dove vengono i costi annunciati/denunciati da un Sindaco a corto di argomenti. Non dall’azienda costruttrice (che si è limitata a indicare la frequenza delle operazioni di manutenzione e le manutenzioni stesse), ma da un fornitore di servizi del Comune: 3.940 Euro + IVA. Totale 4.728 Euro l’anno. Preventivo unico, cioè fornito da un solo soggetto. Quando si affida un incarico, i preventivi sono da tre a cinque. Ma qui non si doveva affidare nessun incarico (la fontana l’avrebbero tolta) bensì concludere una pratica burocratica. Ecco perché di preventivo ce n’era uno solo. Ma preso per vangelo. Vero invece che questa manutenzione sarebbe costata più della manutenzione delle altre fontane cittadine. Bella forza: il più delle volte sono asciutte e la manutenzione (che è più semplice) la fanno i dipendenti comunali. In compenso, l’eventuale rimontaggio di questa in altra collocazione (se mai lo faranno) costerà — quello sì — un sacco di soldi, che si aggiungono ai 2.000 Euro spesi per smontarla. Soldi tanti, perché costa rimontare una Ferrari. O un orologio svizzero. Nell’empito distruttivo, nessuno ha fatto due conti né su questo, né sulle difficoltà tecniche. L’importante era far sparire il segno — divenuto giocoforza simbolo — di una concezione opposta di città: la città — e le piazze — della gente e per la gente.
Mi si dirà che non sono questi i problemi principali di Treviglio. D’accordo. E allora perché, comunque, crearne uno nuovo e distruggere una cosa bella solo per “arredare” con i suoi “resti mortali” il cortile di un deposito della dimenticata zona Sud? Forse perché per accettare anche solo davanti a se stessi di aver promesso, e poi purtroppo fatto, una cavolata e cambiare idea, ci vuole coraggio. E umiltà. Quello che manca a questa Amministrazione. Per ora, spero. Essendo la sottoscritta una amministrata come gli altri, non mi auguro che continui su questa strada. Sulla barca, infatti, ci siamo tutti. Nel frattempo, non mi resta che cantare una mitica canzone del Vasco Rossi nazionale: “Voglio trovare un senso a questa storia. Anche se questa storia un senso non ce l’ha”.