Martini per tutti.

Venerdì 31 agosto si è spento, a Gallarate e non a Gerusalemme come invece avrebbe desiderato, Carlo Maria Martini, vescovo di Milano per oltre 22 anni fino al 2002.

Il valore del suo episcopato passa attraverso le sue lettere pastorali a cadenza annuale, le stesse visite pastorali nelle parrocchie e nei decanati della Diocesi ambrosiana, le iniziative particolari come la Cattedra dei non credenti ed i richiami alla città tenuti in occasione della festa di S. Ambrogio. A ragione qualcuno dice che ci ha lasciato un gigante della Chiesa italiana.

Penso si possa prendere spunto proprio dal suo impegno pastorale intra-ecclesiale per tratteggiare un percorso valido per tutti ed in particolare per chi intende misurarsi con un impegno civile e politico.

Ci provo, consapevole della parzialità del mio punto di vista e senza la presunzione di ritenere di poter fare sintesi in poche righe del suo poderoso lavoro. Ci provo sapendo di avere davanti una figura che ha sentito il peso di dover inserire nella città segni positivi pur nella difficoltà dei tempi e, con la stessa intensità, ha sentito la necessità di richiamare tutti, non solo i politici, ad un senso di responsabilità piena per la casa comune.

All’alba del fenomeno Tangentopoli diceva: “Ci troveremmo oggi così amareggiati e indignati per tante situazioni incresciose che offuscano la nostra vita politica e amministrativa, se fossimo stati un po’ più vigili, se avessimo alzato lo sguardo, allargando gli orizzonti oltre le comodità o l’interesse immediato? Ciascuno è chiamato ad interrogarsi, a mettersi in discussione, a chiedere conto a se stesso delle proprie eventuali responsabilità, non solo attive, ma pure di omissione o di semplice distrazione.” (Sto alla porta – Lettera pastorale 1992-93, pag. 54)

Immagino che Carlo Maria Martini possa suggerirci un percorso in quattro passaggi.

1.Una vita fondata.

Ricevuto l’incarico di guidare la Diocesi, Martini in qualche modo ‘stoppa’ la frenesia ambrosiana presentando le prime due lettere pastorali: La dimensione contemplativa della vita e In principio la Parola.

E’ un invito a recuperare i fondamentali della propria vita e della convivenza, a non disperdersi in rivoli insignificanti.

Che ne è di una città che non si sofferma a riflettere sui valori dello stare insieme?

Facendo riferimento al romanzo L’Idiota di Dostoevskij ci ricorda che: “… la bellezza che salva il mondo è l’amore che condivide il dolore.” (Quale bellezza salverà il mondo? – Lettera pastorale 1999-2000, pag. 11)

2.Il discernimento.

Il credente è, insomma, in qualche modo un non credente che si sforza ogni giorno di cominciare a credere… Il discepolo può allora riconoscere nel non credente pensante, che soffre dell’assenza di Dio nel suo cuore e vive l’inquietudine della ricerca, una parte di sé: forse la parte che più lo stimola… Va subito detto che l’ateo superficiale e non pensante non è molto diverso dal credente che si rifiuta di pensare e di mettersi continuamente in discussione davanti a Dio: in realtà per entrambi la certezza che guida il cuore e la vita è troppo a buon mercato, volutamente scontata e indiscussa.” (Ritorno al Padre di tutti – Lettera pastorale 1998-99, pag. 49)

E’ l’invito ad usare la testa per conoscere, ascoltare, comprendere, ‘macinare’ le questioni prima di schierarsi da una parte. Non ci sono argomenti ‘scomodi’ ma argomenti difficili: su alcuni si può già dire, su altri occorre che attraverso il dialogo emergano gli elementi per formarsi un’opinione, su altri ancora è opportuno aspettare che i tempi maturino.

Insieme ne viene la necessità di liberare il pensiero da vincoli più legati a consuetudini che a principi fondamentali; ancora, ne viene la necessità di poter parlare liberamente.

Che città è quella che pensa di giudicare e sanzionare i comportamenti delle persone senza fare lo sforzo di conoscerli, di comprenderne gli aspetti di inquietudine o di sofferenza?  

Pro veritate adversa diligere (Per raggiungere la verità amare le avversità) è stato il suo motto episcopale sapientemente dispiegato.

3.La comunità alternativa.

Anche con tutti i suoi peccati la comunità alternativa rimane un ideale di fraternità in divenire, destinato a mostrare a una società frammentata e divisa che possono esistere legami gratuiti e sinceri, che non ci sono solo rapporti di convenienza e di interesse, che il primato di Dio significa anche l’emergere di ciò che di meglio c’è nel cuore dell’uomo e della società.” (Ripartiamo da Dio – Lettera pastorale 1995-96, pag. 35)

Quello della comunità alternativa resta una grande sfida anche per la città, non solo per la comunità cristiana alla quale il vescovo si rivolgeva. Il piccolo gregge di quelli che vivono l’impegno civile con passione e senza tornaconti personali deve estrapolare un modello di convivenza ripensato secondo, non contro, il tempo che viviamo.

Come può una città evitare di rinchiudersi in un mondo piccolo, non impregnato della vita del mondo che le gira attorno? Contrastare a priori oppure pensare e programmare una convivenza secondo canoni diversi?

4.Il senso del limite.

Alla fine c’è uno scarto da accettare tra quel che si sarebbe desiderato fare e ciò che è stato possibile considerando tempi, situazioni e persone.

Martini ha dovuto rinunciare alla sua parola perchè la malattia, poco alla volta, gliela ha strappata.

Ha rinunciato ad un nuovo Concilio (per una Chiesa più lieta, leggera, coraggiosa, anima della società), a discutere intorno alla posizione delle donne nella società e nella Chiesa e chissà a quante altre cose ancora.

 A livello personale può capitare di decidere di non accanirsi sul proprio corpo per contrastare una malattia inesorabile. Al livello più ampio di un impegno civile può succedere di doversi fermare nel desiderato processo di rinnovamento per aspettare altri più lenti o semplicemente tempi più propizi, pur avendo magari l’autorevolezza per imprimere una accelerazione.

Quando il tempo è finito si passa la mano ad altri. La Parola può comunque compiere la sua corsa. La città anche.

 Davide Beretta

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