…Non è facile vivere per strada con il presidio, vedere le mamme trattate come criminali incalliti, vedere lungo le strade le aziende che chiudono come animali feriti che non vogliono morire. Dietro ogni lavoratore c’è un intero mondo. È necessario riflettere su tutto quello che ci sta accadendo…
(A. Militillo, una delle cinque donne che per prime hanno iniziato l’occupazione)
Venerdì 14 settembre presso il Centro Civico di Cassano si è svolta un’assemblea informativa, molto partecipata, promossa dai lavoratori della JABIL occupata (vedi riquadro). Scopo della serata era informare i cittadini, i partiti e le istituzioni di quello che sta accadendo ai lavoratori e al “lavoro” nella nostra terra colpita dalla crisi.
Perché ne parliamo anche noi? Perché, come dice Gabriele Tadini, moderatore della serata:
“La crisi è crisi ovunque, la lotta è lotta ovunque, ce ne occupiamo perché quello che sta avvenendo alla Jabil è emblematico; il percorso presidio–licenziamenti–occupazione–resistenza (anche alle forze dell’ordine)–risultati ottenuti, ne fanno una storia interessante”.
“Domani sera saranno quattordici mesi di presidio — dice R. Maranca, delegato RSU FIOM della Jabil, — serate come questa ne abbiamo già organizzate altre, servono a comunicare la nostra esperienza, per evitare agli altri di fare gli stessi errori che abbiamo fatto noi. Per la prima volta dei lavoratori hanno detto NO: vogliamo la nostra fabbrica. NO al fare accordi, e alla fine hanno avuto ragione”.
“Sono dipendente Jabil da 15 anni — prosegue Ramona. — Anche mio marito lavora con me, abbiamo un bambino di quattro anni. Il presidio nasce da un atto di sconforto. Ogni mattina andiamo alla fabbrica, si fa la spesa, ci si inventa un menù, si cerca di creare un ambiente famigliare. Da un gesto di stizza è iniziato tutto. Non è possibile accettare che questa vicenda finisca così: che la Martesana diventi un cimitero di fabbriche”.
La sociologa Stefania Cavallo sottolinea l’importanza della comunicazione nelle esperienze di lotta e come loro siano molto bravi a farlo. Come sia importante in questi casi uscire dall’isolamento, dall’individualismo; comunicare con anima e bellezza le proprie convinzioni. Con funzionalità. “Questo è quello che ho percepito nella comunicazione della Jabil,” dice la sociologa.
Trattare del lavoro che non c’è più è difficile, ci si convince di aver sbagliato tutto; nel giro di pochi mesi si diventa poveri, ci si può anche ammalare. La perdita del posto di lavoro fa perdere l’autostima: è un vero e proprio lutto. Una possibile risorsa è restare connessi anche attraverso il web, chi è venuto a questo incontro ha fatto un primo passo per la risoluzione del problema. Per questo fa una proposta: promuovere gruppi di auto–mutuo–aiuto, con il patrocinio delle isituzioni locali. Chiudendo le fabbriche i territori vengono a perdere la loro consistenza.
Nel dibattito che è seguito, si è sottolineato come togliere il lavoro significa togliere la dignità, si toglie la vita, saltano pezzi interi di territorio, c’è un decadimento del pensiero, cadono i valori.
Si è ribadito come possa essere importante dare vita a un osservatorio comune per non disperdere le forze. Società civile e Amministrazioni locali devono fare pressione su Regione e Ministero delle Attività Produttive che hanno un ruolo attivo nelle politiche del lavoro.
SCHEDA
NOKIA SIEMENS / JABIL, cronaca di un disastro occupazionale
La Nokia Siemens, azienda che si trova a Cassina de’ Pecchi in quello che fino a qualche anno fa era il polo delle telecomunicazioni, contava 3.000 addetti nel 2007, ora sono ridotti a circa 1.000. Di questi, metà sono in mobilità che scadrà a fine settembre. E si teme non ci sarà un rinnovo. Per i restanti non si prevede un futuro in azienda più lungo di sei o dodici mesi.
Il 2007 è l’anno in cui Nokia Siemens esternalizza un ramo d’azienda che conta circa 300 addetti. Questi sono assunti da Jabil, multinazionale americana che ha acquistato la parte produttiva, e continuano a fare quello che facevano prima, sempre presso lo stabilimento che rimane di proprietà della Nokia Siemens. Dopo quattro anni Jabil vende tutto a un fondo americano, che porta la ditta quasi al fallimento.
A questo punto, ripagati i debiti del fondo, Jabil si ricompra la fabbrica che aveva venduto sei mesi prima. Sospettando una nuova chiusura, Jabil comincia perfino a rifiutare i clienti. I lavoratori iniziano un presidio nel luglio del 2011.
La cessazione delle attività avviene l’8 dicembre 2011, approfittando del ponte dell’Immacolata, cui seguiranno le lettere di licenziamento per tutti i dipendenti. A questo punto giovedì 12 dicembre inizia l’occupazione. In fabbrica c’è ancora tutto, sono fatte tutte le manutenzioni e i macchinari sono tenuti in ottimo stato: la produzione può ripartire in qualsiasi momento. Il 24 luglio, dopo un anno di presidio e occupazione, si ottiene finalmente un protocollo d’intesa con Provincia, Regione, Comune e Ministero dello Sviluppo Economico che, innanzitutto, vincola la destinazione d’uso dell’area ad attività produttiva: quindi niente possibilità di speculazione edilizia. Prevede inoltre, entro sei mesi, la definizione di un nuovo piano di lavoro per l’azienda. Il 27 luglio, soltanto pochi giorni dopo l’accordo che permetteva di sperare in una soluzione positiva della situazione, alle 5:30 del mattino Polizia e Carabinieri scortano degli addetti al trasloco mandati dalla direzione. Questi riescono a entrare nello stabilimento ma sostanzialmente se ne vanno a mani vuote: non riescono a portare via nulla. La Jabil è tuttora occupata.