Diciamocelo chiaramente: “Verso la Terza Repubblica” ha molto della prima e della seconda. L’evento che ha visto riuniti — attorno all’idea di ricandidare Monti a Palazzo Chigi — Montezemolo, Bonanni, il ministro Riccardi e le ACLI è una bella riedizione del vecchio.
Vecchio è Montezemolo, che si è dimenticato che lui in questi 20 anni non ha vissuto in un eremo in Tibet ma, tra l’altro, è stato presidente di Confindustria, della FIAT e addirittura nel 2008 ha accettato da Berlusconi la proposta di rappresentare il made in Italy…
Vecchio è quanto questa iniziativa ci racconta rispetto al — mai venuto a sintesi — tema della presenza dei cattolici in politica, della loro autonomia rispetto alle gerarchie e dell’influenza dell’oltre-Tevere, cioè del Vaticano. Una presa di posizione così netta a favore di Monti, che tra l’altro in questo momento è un non–candidato, da parte della ACLI sarebbe potura accadere senza qualche accordo con CEI e Segreteria di Stato? Il silenzio di chi si muove tra la mura vaticane è cosi rispettoso dell’autonomia dei laici e delle associazioni laicali, che sarebbe stato tale anche se le ACLI avessero comunicato che il loro candidato era Grillo, o Bersani, o Renzi, o Vendola?
Vecchio è Bonanni e il suo cercare di rivitalizzare il tentativo non riuscito a Pezzotta di fare della CISL il sindacato che sta al Governo e con il Governo, ma poi fa le trattative sindacali sedendosi dall’altra parte del tavolo. Adesso che ha definitivamente realizzato che il suo approccio contra CGIL del fallimentare progetto “Fabbrica Italia” del Marchionne, ecco Bonanni perseverare nel suo progetto di fare del suo sindacato un sindacato di lotta e di governo contemporaneamente. È nota l’accusa di Bonanni alla CGIL di “fare politica”, come se questo fosse una spregio. Verrebbe da chiedersi perché in via teorica, ma tanto di più oggi, porsi (a torto o a ragione qui poco interessa) il problema di difendere gli interessi dei lavoratori non debba essere riconosciuto come un modo alto di “fare politica”. Cosa deve fare un sindacato se non “fare politica” se non nel suo essere proprio sindacato? Ciò che invece un sindacato non dovrebbe mai fare è “fare partitica”, è partecipare allo schieramento elettorale, schierarsi apertamente come un partito. Figurarsi fare la campagna elettorale per un (potenziale) candidato futuro a Presidente del Consiglio. Men che meno se è lo stesso Presidente del Consiglio attualmente in carica nei confronti del cui esecutivo (vedasi la Fornero) il sindacato è ogni giorno coinvolto in trattative non certo irrilevanti. Dopo sabato, che credibilità potranno avere Bonanni e la CISL nei mesi a venire quando prenderanno posizione su qualche provvedimento governativo? Vero è che nel sindacato italiano, e primariamente in alcune aree della CISL, è ancora viva l’idea che condivisione di strategie e consociativismo siano sinomi. Ma a tutto c’è un limite. Per dirla con un’iperbole: come gestirebbe Bonanni un’eventuale trattativa sindacale per il rinnovo del contratto in Ferrari? Spesso in questi mesi si è citato il ruolo forte che il sindacato tedesco ha nelle scelte strategiche delle aziende tedesche e nella partecipazione ai risultati. Ma c’è un abisso tra la cogestione tedesca e il degenerato condividere lo sfascio di aziende pubbliche italiane. E da nessuna parte si vedrebbe un qualsiasi Bonanni tedesco schierare il proprio sindacato a favore della rielezione della Merkel.
Liberissimo Bonanni di costruirsi un futuro personale per quando non sarà più segretario della CISL. Anche lui “tiene famiglia”, ci mancherebbe altro. Ma prima almeno si dimetta e non metta in imbarazzo milioni di lavoratori.