Il giornalista Giorgio Bernardelli ci parla della situazione delle comunità cristiane in Medio Oriente
Venerdì 24 ottobre il gruppo missionario della Parrocchia S. Pietro ha organizzato una conferenza tenuta dal giornalista Bernardelli, collaboratore di «Mondo Missione» e «Avvenire», in occasione del mese dedicato alle missioni. Tema sicuramente interessante quanto poco conosciuto. Il relatore esordisce dicendo come sia contento di parlare di questo mondo sospeso tra “mito e realtà”. La maggior parte delle persone ha un’idea alquanto superficiale di questa realtà.
Per Medio Oriente s’intende quella “mezzaluna” che va dalla Tunisia alla Turchia, compresa la penisola arabica, Iran e Iraq. Un territorio abitato da 500 milioni di persone, di cui si stima, 15–20milioni di cristiani delle varie confessioni.
Sì, perché il primo elemento da realizzare è come la presenza cristiana sia multiforme: coesiste una complessità di comunità di rito alessandrino, antiocheo, bizantino; sono greco–ortodossi e melchiti, caldei, maroniti, siro–ortodossi e copto–cattolici. E non solo bizantini come solitamente pensiamo. E di come l’occidente cattolico falsi la realtà: per esempio come punto di riferimento per l’Egitto la stampa considera solitamente i copto–cattolici (160mila anime), e non i copto–ortodossi, 7–8 milioni di fedeli su una popolazione complessiva egiziana stimata tra gli 88 e 90 milioni di persone.
In seconda istanza sono luoghi che non devono assolutamente essere pensati come terre di missione: non sono stati evangelizzati da nessuno. Tutt’altro sono comunità antichissime figlie della prima predicazione apostolica. Da quelle comunità arrivano i siriaci, i primi missionari che si sono spinti in India (S. Tommaso, secondo la tradizione), in Cina (la predicazione nestoriana, secoli prima del cattolico Matteo Ricci) e a Roma. Sono la culla del cristianesimo. Antiochia e Alessandria sono state con Roma le principali città della cristianità antica.
Terzo elemento: si tratta di cristiani in un mondo a maggioranza mussulmana con situazioni molto diverse. A parte il Libano, Paese mosaico dove i cristiani rappresentano la metà della popolazione, negli altri Paesi la presenza si aggira tra l’1 e il 3%, ad esclusione dei tre grandi poli: Egitto 8 milioni, Iraq 1,5 milioni, Siria 2,5 milioni.
Dell’Iraq non parla più nessuno. Qui continua il conflitto Sunniti–Sciiti con morti e autobombe tutte le settimane. Si pensa che la comunità cristiana attuale sia ridotta a 300mila fedeli. Pochi a Bagdad, il resto vive nel nord del Paese, sotto i Curdi.
Dalla Siria c’è stata un’emigrazione enorme verso Giordania, Libia e nord Europa. È una comunità che ha visto i profughi cristiani iracheni scappare dalla guerra sciita–sunnita. Cosa che si sta riproponendo in questo Paese, dove Arabia e Turchia stanno facendo la guerra all’Iran, ognuno sostenendo le proprie fazioni, partendo da una rivoluzione civile ormai molto lontana.
Anche l’Egitto dei copti è abbastanza difficile da interpretare da fuori. L’appoggio che i cristiani danno ai militari che hanno deposto il presidente Morsi è da analizzare alla luce di tutte le variabili: il pesante intervento degli islamisti nel voler cambiare la Costituzione, il diritto di famiglia, le cose sensibili, l’attacco alla cattedrale di S. Marco dell’aprile di quest’anno…
In tutta questa situazione quale può essere la strada per i cristiani? Difendere la posizione? Mettersi nelle mani del protettore di turno? 500mila cristiani siriani hanno chiesto la cittadinanza russa, proprio come al tempo degli zar!
Secondo il nostro relatore si può ripartire dal sinodo per il Medio Oriente del 2010, dove il “messaggio al popolo di Dio” è stato: i cristiani in Medio Oriente non sono lì per caso né per una maledizione. Ma la loro presenza rappresenta la loro vocazione, il piano di Dio su di loro. Non essere una piccola enclave protetta, ma una presenza riconosciuta come ricchezza. Vocazione al dialogo come cittadinanza piena, non di serie B.
La politica dei Paesi occidentali deve permettere ciò. Una comunità internazionale che non si dimentichi di queste situazioni e si ricordi solo quando ci sono drammi e tragedie.
Un’ultima notizia completamente sconosciuta ai più: lo studioso John Allen, che ha scritto un libro sulle persecuzioni dei cristiani nel mondo, ha posto al primo posto dei Paesi che discriminano i cristiani l’Eritrea, di cui nessuno parla. In quel Paese sono riconosciute solo tre confessioni; i Pentecostali, ad esempio, sono semplicemente rinchiusi in campi di concentramento.
Forse, si avvia a concludere Bernardelli, scontiamo un ecumenismo a tutti i costi, mentre occorre continuare a parlare di queste discriminazioni senza dire che tutti sono fondamentalisti. E se la stampa è superficiale, tocca a noi parlarne, anche nelle chiese, nelle omelie, tra di noi che ora sappiamo.
Gruppo Missionario Parrocchia S. Pietro