Berlusconi e Cancellieri, etica e politica

berlusconi-condannaGentile Direttore,

è venuto a trovarmi, mio ospite per il fine di questa settimana, un mio carissimo coetaneo. Questi ha vissuto molti anni all’estero e, solo recentemente, è rientrato in Italia, manifestandomi la volontà di rimanerci. Con questo mio amico — che ha più o meno le mie stesse idee politiche — abbiamo dibattuto vivacemente di certe questioni attuali della politica italiana. Essendo lui una persona molto colta e preparata, non riesce a spiegarsi il perché, se esiste una legge che dice determinate cose, molto precise, noi ci giriamo intorno e non la applichiamo. Lui non capisce il perché un condannato definitivamente (Berlusconi) dopo tre gradi di giudizio come previsto dalla nostra Costituzione, sia ancora al centro del dibattito politico e che i suoi avvocati e i suoi vassalli si arrampichino sugli specchi per non rendere esecutiva la sentenza. Ma la cosa che più lo indigna è la disinvoltura con la quale nel dibattito politico si stravolgono (con una polemica tanto faziosa quanto sfacciata) parole e dati di fatto. Per un soggetto condannato definitivamente, l’agibilità politica diventa impunità e una persecuzione politica. Che decadenza e incandidabilità (secondo una legge votata alla quasi unanimità dal Parlamento) diventino un attentato alla democrazia per eliminare l’avversario politico. Tutto questo dal punto di vista del mio amico (e anche dal mio) è molto grave, perché impedisce qualsiasi confronto politico serio, fino a incrinare le fondamenta del nostro sistema democratico. Un reato è un reato e non lo cancellano né i successi elettorali, né il “carisma“ del leader in questione, né la così detta “pacificazione“ contrabbandata in una stabilità a tutti i costi (ma non oltre il 27 novembre…).

Abbiamo poi parlato del caso Cancellieri. Un ministro della Giustizia, che rappresenta uno dei dicasteri più delicati, non può continuare ad avere rapporti personali troppo stretti con persone che hanno avuto conti con la giustizia per episodi anche gravi. L’amicizia dovrebbe essere assente nell’azione di un ministro della Repubblica. Dunque per motivi di opportunità ma anche di etica politica, in casi simili, un ministro (secondo il nostro parere) dovrebbe dimettersi. Anche se tutta la questione è stata ampiamente strumentalizzata da certa stampa e da un comico movimento pre–politico miracolato alle ultime elezioni. Alla fine di questa nostra discussione, il mio amico si congedava da me e, con rammarico forse, dall’Italia. Io ho tentato di dirgli fino all’ultimo che insieme si potrebbe fare qualcosa anche da noi per ritrovare una nuova etica pubblica, visto che lui ha vissuto molti anni in un Paese in cui l’attività politica (a qualsiasi livello) è fortemente intrecciata e sostenuta da una serie di iniziative etiche e sociali.

Chissà se l’avrò convinto… E Lei, sig. Direttore, cosa può suggerirmi in questo discorso etico–politico?

Grazie per l’ospitalità.

Arnaldo Dozzi

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