Non è un caso che il progetto “Controllo del Vicinato” si sia sviluppato in America tra gli anni ’60 e ’70: Martin Luther King aveva pronunciato il suo famoso discorso a Memphis nell’aprile del ’68 di fronte a tanti neri provati – fisicamente e psicologicamente – per le discriminazioni razziali. Ricordo che l’America è anche la terra in cui è legale il porto d’armi e che numerose, all’ordine del giorno, sono le stragi causate da questa “libertà” di uccidere. Ricordo ancora che l’America è lo stato nella cui costituzione figura il diritto alla felicità.
In Italia i primi apprezzamenti per questo progetto sono arrivati dagli abitanti di Caronno Pertusella, in provincia di Varese, per poi diffondersi nel milanese e nel mantovano, tutti territori in cui la Lega ha sempre riscosso grande successo e dove il sistema delle “ronde” è stato largamente sperimentato.
E che dire del gemellaggio con la proNACHBAR austriaca, in seguito al quale è nata addirittura una rete di coordinamento europeo di controllo del vicinato? Chissà perché proprio la fredda e autoritaria Austria, dove ancora oggi, a settant’anni dalla Shoah, il 42% delle persone rimpiange il nazismo…
Un articolo de L’Eco di Bergamo del 15 febbraio racconta l’incontro di presentazione dell’iniziativa ai cittadini di Romano: “Ci rifacciamo alla vecchia corte contadina”, afferma uno dei referenti del progetto, “quando uno sconosciuto era visto nei paraggi, scattava lo spirito di proprietà e solidarietà, chiedendo il perché dell’anomala presenza”. Questa frase mi fa pensare alle cascine dei miei bis e trisnonni, alle ruote dei carri che solcavano le strade fangose di campagna, ai cumuli di letame e alle stalle in cui ci si riparava per scaldarsi, tutte cose che ho visto solo ne l’”Albero degli Zoccoli”.
Cosa s’intende oggi per sconosciuto? Quello che non abita nella mia corte, ovvero in uno spazio grande come un cortile, in cui al massimo risiedono venti famiglie? Bisogna stare attenti a non tornare troppo indietro, attenti a non tornare a quei tempi in cui la mente delle persone era limitata al proprio orto, al proprio bestiame, al proprio parentado. “Ta sét ol scèt de chi te?” oggi non si può e non si dovrebbe più dire, siamo cittadini di una medesima realtà territoriale e amministrativa con confini ben precisi, grazie alla quale abbiamo uguali diritti e doveri.
Ho preso parte ad una riunione come “ventenne ingenua e inesperta del mondo”, più preoccupata del rispetto della privacy nei confronti di se stessa che della sicurezza dei suoi vicini. Sarà che sono giovane, ma faccio davvero fatica a distinguere un atteggiamento invadente di un vicino che vuole curiosare nella mia vita da quello di uno veramente sensibile e attento.
Di fronte all’effervescenza delle mie parole tutti si sono limitati a dirmi che “basta poco”. E’ sufficiente dare un occhio alle macchine nei cortili, ai rumori sospetti, alle luci accese… Basta poco, aggiungevano, “si tratta di senso civico”. Se basta poco, se si vuole sensibilizzare ai rapporti di buon vicinato, perché costituire un comitato di controllo? Tutti abbiamo senso civico, non esiste chi ne nasce privo, semplicemente bisogna esercitarlo, metterlo in pratica. Perché mai dovremmo allenarci spinti dalla paura dell’altro? Perché pensare sempre di dover andare contro qualcosa o qualcuno?
Se proprio si vuole parlare di senso civico, io proporrei attività di integrazione che abbelliscano e vivifichino il quartiere in cui abito. “Nessuno esce da casa la sera, non è sicuro” è stato ripetuto più volte; sarei ben contenta di girare la sera tra le mie vie per partecipare a qualche incontro, a qualche iniziativa ludica o culturale. Chissà, magari le facce scure di chi abita dall’altro capo del mio viale diventerebbero un po’ più nitide, magari farei anche amicizia.
Quello che mi sconvolge è che tutto questo sistema è fondato e si alimenta sulla paura, sul timore nei confronti dell’altro. L’altro è qualcosa con cui devo fare per forza i conti, non devo conoscerlo, devo controllarlo, imparare i suoi orari e i suoi movimenti. Lo stesso lui farà con me, ma è per “darsi una mano”.
“Il cittadino sia cittadino: denunci, avvisi chi di competenza e rimanga vigile”, dicono i promotori dell’iniziativa. Non posso pensare che il mio essere cittadina si esaurisca nel denunciare e nel rimanere vigile, nel sorvegliare e nell’agire in maniera circospetta. Il cittadino prima di tutto partecipa all’attività politica, alla festa del paese, alla manifestazione sportiva, alla messa domenicale, ai concerti, alle iniziative culturali. Solo così si sente vivo, vivo in mezzo agli altri.
Martina Boschi