La cronaca di questi giorni, in realtà quella di mesi a questa parte, ci consegna insieme disperazione e viaggi della speranza di migliaia e migliaia di persone in fuga. Non so se abbia senso speculare sul fatto che siano profughi o semplici emigranti in cerca di una condizione di vita migliore, resta il fatto che è un movimento dalle dimensioni impressionanti con il suo solito carico di dolore.
Lasciando perdere quelli che pensano di risolvere problemi di questa portata con ricette facili (“Aiutiamoli a casa loro” o “Facciamo dei centri di accoglienza in Libia” ad esempio) non sono inutili i tentativi di comprendere quali sono le cause, quali le possibili vie d’uscita; quali gli interventi internazionali e quali le azioni del nostro Governo con l’Europa.
Ma alla fine il pettine si ferma inevitabilmente su un solo nodo: tu cosa puoi fare?
Dove non sono in gioco i massimi sistemi e le organizzazioni territoriali possono essere flessibili e gestibili, dove i piccoli numeri fanno pensare a problemi ancora affrontabili, dove queste persone in fuga assumono volti precisi non difformi per età e desideri da quelli dei tuoi figli… in queste condizioni noi cosa possiamo fare per attenuare la fatica di chi sta peggio?
Questo territorio e i suoi abitanti stanno già rispondendo.
La Fondazione Portaluppi ha messo a disposizione la casa in via Casnida per una ventina di ragazzi (non una invasione), dei volontari hanno creato una rete di relazioni, piccoli lavori di manutenzione e un’introduzione alla lingua italiana.
Molto di più si potrebbe fare coinvolgendo questi ragazzi in una attività quotidiana.
Esiste un protocollo d’intesa firmato da Prefettura di Bergamo e diversi Comuni della provincia che consente a chi è accolto di prestare attività di volontariato gratuita a favore della collettività che li ospita.
Le attività possibili sono innumerevoli e ne sono un esempio quelle attivate già in provincia: dal fare attraversare in modo sicuro i ragazzi delle scuole elementari alla cura dei parchi, dei giardini, delle piste ciclabili, dei marciapiedi. Dalla gestione di un orto ad altri lavori che tengano conto anche delle competenze maturate nei loro paesi e dei progressi con la lingua italiana. Alcuni ragazzi conoscono inglese, francese, arabo… non è impossibile escogitare qualcosa che li sottragga al ‘passare la giornata’.
Il Sindaco Pezzoni non ha firmato il protocollo provinciale. Una firma che per questi ragazzi è lo spartiacque tra un vivacchiare e il rendersi utili ricambiando in forma diversa l’aiuto che stanno ricevendo.
Bastarebbe una firma. Se Pezzoni non lo vuole fare per convinzione lo faccia almeno per non impedire a chi può di dare una mano.
Per passare dall’essere spettatore impotente davanti al televisore all’essere di aiuto in questa drammatica vicenda.
Un modo per passare dalle parole ai fatti, dall’indifferenza al coinvolgimento.
Un modo per fare spazio al bene che una città sa di poter generare se sostenuta.
A volte basta poco, se si vuole.