Non è il punto G, la zona erogena per eccellenza che appassiona sessuologi nostrani e cultori del Kamasutra.
Il “fattore G” che turba il PD trevigliese si chiama Garanti.
O meglio, Consiglio dei Garanti. Un organismo che in un Partito non ha mai molto da fare, tanto che ci mettono regolarmente un po’ di elefanti cui far trascorrere serenamente il crepuscolo di una vita di impegno politico. Torna invece in auge in momenti come quelli odierni, tempi di fraterni scontri rinvigoriti dalla sconfitta elettorale che — si sa — diversamente dalla vittoria, non ha né padri né madri, essendo immancabilmente orfana di responsabilità.
I fatti sono noti. Nel tentativo commendevole di portare al PD il contributo di fresche energie dopo la sconfitta elettorale, il coordinamento locale PD partorisce la lodevole idea di aprirsi alla collaborazione di qualche giovane virgulto già attivo nella campagna elettorale.
Si chiama tentativo di crescita di un vivaio. Parola che deriva da “vivo”: una necessità per un partito che da mo’ è presente nel dibattito politico e nell’azione amministrativa in città con l’energia di una spigola fuor d’acqua e la capacità propositiva di un ghiro nella stagione invernale. Non si vive di solo referendum. Qualcuno l’ha dimenticato.
Commettono però una leggerezza: usano, nella convocazione della riunione che ne deve discutere, il termine “cooptazione”, opzione non prevista dalle norme che regolano la vita e l’organizzazione del PD. Poi si riuniscono: non procedono a nessuna nomina per cooptazione (si dimenticano perfino dello stesso termine), si limitano a dare mandato perché qualcuno verifichi se la possibilità di un lavoro con i giovani del Partito abbia le gambe per camminare, indicano una procedura definitiva rispettosa dell’Esse supremo: lo S-tatuto.
Apriti cielo! Parte immantinente una lettera ai Garanti di Bergamo (scrivere, meglio se esposti e denunce, per alcuni “dem” locali, la cui penna scivola con la vischiosità della bile, è una ragione d’essere), i Garanti si riuniscono, leggono il verbale in cui di cooptazione nemmeno si parla né si coopta nessuno, non convocano nessuno dei reprobi per le dovute spiegazioni, compulsano, pulsano ed emettono la sentenza: censura al Presidente del Circolo e al Coordinatore.
Per dirla con il primo dei due, Dario Aralla: «Sono stato «processato senza nemmeno essere stato sentito» e «per una eventualità», perché nessuna cooptazione c’è stata.
Noi — che abbiamo già assistito a una sentenza strampalata dei Garanti del PD bergamasco sui fatti del 2011 (un pezzo del PD si schierò con un altro candidato sindaco in una lista concorrente), sentenza poi ribaltata dal livello superiore, i Garanti del PD regionale perché per dirla in breve avevano scambiato gli accoltellatori con gli accoltellati, — ci sentiamo in dovere di dare qualche suggerimento:
- blaterare di rottamazione e ricambio e poi non far nulla per aprire ai giovani iscritti, per paura che alterino gli equilibri interni, è una stupidaggine suicida. Trovate un altro modo di recuperare nuove risorse, ma fatelo;
- i Garanti bergamaschi dovrebbero imparare a non emettere sentenze in contumacia dei presunti colpevoli (abitano a Treviglio, hanno il cellulare, non sono mica in clandestinità come Matteo Messina Denaro) e a chiedere e ascoltare prima di giudicare: eviteranno strappi e figuracce;
- i logografi del PD, quando avranno finito di scrivere a Bergamo con una frequenza che fa impallidire Jacopo Ortis, si mettano insieme agli altri a discutere e lavorare sui temi politici e sui problemi di questa città.
Ho il diritto di scrivere queste cose? Sì, ce l’ho.
Sono stufa di sentire in lontananza i tappi di spumante di Lega Nord, pezzoniani e dintorni, che brindano all’assenza di avversari. Perché questa città ha bisogno anche di una opposizione.
Sennò dal Kamasutra del fattore G qui si passa al Ké i ma sótra (*). E la sottoscritta, insieme a tanti sconcertati elettori del centrosinistra, soffre di claustrofobia.
(*) traduzione: Qui mi sotterrano.